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Francesco Mastroberti,  offre all’avvocato e al giovane che si avvicina
                  alla professione l’occasione di entrare in contatto con un patrimonio di
                  grande valore culturale e formativo che, nonostante l’anno di edizione
                  dell’opera (1843), appare di sorprendente attualità,così  come se il tem-
                  po  si  fosse  fermato  e  non  avesse  trovato  soluzione se  non  nella

                  riproposizione di identiche “miserie e nobiltà”. Infatti nelle pagine del
                  testo si specchia ora come allora la esasperata sensibilità di quanti cre-
                  dono, a torto o a ragione, nel recupero di sentimenti sopiti, di concetti
                  spenti dal tempo e dal costume, di quanti ancora credono nella “lealtà e
                  nella probità”, nel valore e nella funzione del ministero che sono chia-
                  mati a compiere.
                       In un periodo di grande crisi per il foro napoletano si agita la ten-
                  sione morale di un eclettico avvocato, che affronta in termini moderni –
                  ossia attraverso la redazione di una sorta di codice - il problema
                  deontologico, attingendo a piene mani dalla gloriosa  tradizione forense
                  napoletana, antica ma ancora vitalissima. Dalle pagine emerge così il
                  segreto punto di fusione tra etica e giustizia, quello per effetto del quale
                  ci è concessa la possibilità di gravitare all’interno di uno spazio di ec-
                  cellenza. L’opera rianima attraverso il respiro vitale di una cultura
                  millenaria che non s’arrende al magma, il corpo stanco di una classe

                  autenticamente umana, vittima, oggi più di ieri, di confluenze ed omologie
                  epocali. La classe forense ritrova nell’opera un primo simbolico sedati-
                  vo alla rabbia di impotenza, un antidoto per resistere alla “contrazione
                  della Morale” dentro e fuori le aule di Giustizia, un modo naturale per
                  affrontare la “fatiscenza  del vivere civile”.



                                                             Avv. Vincenzo Di Maggio
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